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Tecnoculture postcoloniali, queer e femministe: ciclo di seminari all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

     ‘Quando si parla di Africa, la corrispondenza
tra parole, immagini e cose non importa
quasi per niente.
Non è necessario che il nome corrisponda
alla cosa o che la cosa risponda al suo nome’

 

‘Chi vorrebbe essere un Negro o essere
trattato come tale?’
(Achille Mbembe, Critique de la Raison Negre, 2013)

 

Uno dei video cosiddetti virali più discussi e citati nella new media theory contemporanea è certamente Kony 2012, definito all’epoca ‘il video più virale di tutti i tempi’. Kony 2012 è un cortometraggio di trenta minuti che, dopo esser stato caricato su YouTube e poi su Vimeo tra la fine di febbraio e inizi di marzo 2012 da una ONG, Invisible Children, ha accumulato 93 milioni di visualizzazioni nel il primo mese dopo la pubblicazione, attirando l’attenzione di celebrità come Oprah Winfrey, e causando il il crollo psichico del suo regista, il 33enne James Russell, arrestato nel marzo 2012, nel pieno della popolarità del video, mentre correva nudo nel traffico di San Diego, California.

Kony 2012 si presentava come un video sul conflitto pluridecennale in Uganda e chiedeva agli utenti che lo avessero visualizzato di ‘prestare attenzione fino alla fine’ per partecipare entro una determinata data alla cattura di un criminale di guerra, l’ugandiano Joseph Kony, leader della Lord’s Resistance Army (LRA) – un’organizzazione accusata di aver compiuto numerosi efferati massacri e di rapire i bambini per costringerli a diventare soldati, arrivando persino a convincerli a uccidere i loro genitori. Sulla base di queste accuse, Kony era stato condannato per crimini di guerra e contro l’umanità dalla Corte penale internazionale dell’Aia. Nel video, lo statunitense Russell racconta del suo incontro con i ragazzini vittime di Kony in Africa e del suo desiderio di porre fine ai crimini di Kony per amore del figlio e per la sua amicizia nei confronti di uno dei bambini rapiti da Kony e incontrato in Africa.

Sia Wendy Hui Kyong Chun che Jack Bratich, trattando del fenomeno Kony 2012, hanno sottolineato il modo in cui il video non ha praticamente niente a che fare con l’Uganda, come non fornisca nessun contesto storico e politico per capire il conflitto che vuole rappresentare, e come, nel migliore dei casi, questo video rappresenti l’ennesima performance del vecchio ‘fardello dell’uomo bianco’, o nel peggiore, una specie di incitazione al linciaggio dell’Uomo Nero. Per Bratich, K-12 è stato essenzialmente una ‘caccia all’uomo distribuita e globale, un esperimento nascente distopico che ricorda Running Man (in italiano, L’implacabile, 1987) e La Fuga di Logan (1978), ma aggiornato per la generazione ‘Hunger Games’ in cui la spettorialità diventa partecipazione e intervento’. Per questi critici, dunque, Kony 2012 non ha niente a che fare con l’Africa, ma è stato un modo di mettere in atto e immaginare il potere dei social networks, cavalcavando l’onda delle grandi rivolte nordafricane del 2011 e del più modesto ma significativo movimento di Occupy Wall Street.

Questa rappresentazione del potere dei social media rimanda a quella che potrebbe essere definita una nuova ‘ragione universale’, incarnata dai giganti dei media sociali, per cui l’umanità è naturalmente e intrinsecamente animata da un desiderio di connettersi. Ci sembra importante sottolineare come questo universalismo dei media sociali rappresentato da Kony 2012 abbia ancora una volta come oggetto un Uomo Nero da catturare, dei bambini neri da salvare, e un’Africa, che, come sottolinea ripetutamente il filosofo postcoloniale camerunense Achille Mbembe nel suo Critique de la raison nègre (2013), rimane per l’Occidente ‘il simulacro di un potere oscuro e cieco’ verso cui si può provare al massimo ‘senso di colpa, risentimento e pietà’ ma mai ‘un richiamo alla responsabilità o alla giustizia’.

Estendendo la critica che Mbembe muove alla ‘raison nègre’ (la ragione che ha come oggetto l’Africa e l’Uomo Nero e i processi di soggettivazione anche radicali innescati in coloro che sono oggetto di questa ragione) verso il nuovo orizzonte della comunicazione ipersociale, le notizie sull’Africa ancora oggi sono, per definizione, bufale o fake news: ‘il termine Africa’, sostiene Mbembe ‘si riferisce a una forma vuota che, in senso stesso, sfugge ai criteri di verità e falsità… Tutto quello che importa è il potere della falsità’. Non è l’esistenza fisica di Joseph Kony ad essere falsa, ma la cornice narrativa ad essere basata su quella possibilità, accordata all’Africa in quanto oggetto di un sapere e potere coloniale, di poter parlare senza doversi preoccupare di conoscere di quello di cui si parla e senza neanche la curiosità di avvicinarsi davvero. In questo senso forse l’attuale cultura di rete eredita questa peculiare modalità di conoscere istaurata dal colonialismo, come pure, quella che Mbembe definisce come la tendenza occidentale a pensare la relazione sociale attraverso la somiglianza, piuttosto che attraverso ‘la co-appartenenza a un mondo comune’.

 

Il giorno 8 febbraio, tra poco più di una settimana, si terrà presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, il primo di una serie di cinque incontri organizzati dalla TRU e dal Centro Studi Postcoloniali e di Genere dell’Università ‘L’Orientale’, con il titolo Postcoloniale, Queer e Femminista: percorsi di lettura per una vita non fascista, dedicato appunto a Critique de la raison négre di Achille Mbembe. Il ciclo di seminari proseguirà poi in un percorso che ci porterà a discutere della ricerca di Denise Ferreira Da Silva, di Beatriz/Paul Preciado, di Donna Haraway e infine di José Esteban Munoz. La serie di incontri prevede delle tavole rotonde su cinque volumi recenti di voci note e meno note in Italia di quel movimento intellettuale (postcoloniale, queer, femminista, anti-razzista etc) che attraversa le cosiddette scienze umane e sociali con particolare forza almeno a partire dagli anni sessanta producendo un conflitto con la neutralità dei saperi e delle discipline. Insieme ad Antonia Anna Ferrante, siamo partite dal desiderio di aprire uno spazio di discussione in città attorno al pensiero postcoloniale, queer e femminista contemporaneo, scegliendo una serie di volumi e titoli capaci di innescare discussioni per noi necessarie anche a produrre un modo diverso di studiare e criticare la cultura di rete, i media digitali e la ragione computazionale.

Il laboratorio, che può essere seguito come parte del percorso di studi da studenti del corso di laurea magistrale in Lingue e Comunicazione Interculturale in area Euromediterranea del “L’Orientale”, ma che è aperto al pubblico in generale, è stato pensato come una serie di conversazioni iniziate e animate da una serie di relator* intern* al Centro Studi Postcoloniali e di Genere per la maggior parte, ma, grazie a un finanziamento del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Orientale, anche con qualche partecipazione esterna. La politica di austerity che inesorabile si è abbattuta specialmente sulle università sudalterne ci impedisce di invitare direttamente gli autori/autrici/autoru di questi saggi, ma in questo vogliamo anche vedere un’opportunità di parlare di libri e attraverso i libri anche in assenza della voce autoriale, permettendo a questo vecchio, amato medium di coinvolgerci con le sue specifiche lentezze e velocità di pensiero. Non è necessario aver letto i volumi per partecipare alla conversazione, ma è necessaria la curiosità e l’apertura mentale.

Sebbene dunque i vari incontri siano introdotti da docenti e ricercator* universitari, ci aspettiamo che questo sia, appunto, solo l’inizio di conversazioni che coinvolgano anche chiunque si senta di voler condividere con noi un percorso filosofico e teorico, per citare la famosa affermazione di Michel Foucault, ‘non-fascista’. Nella misura in cui il rapporto coloniale italiano con l’Africa ci interpella direttamente, il senso di ‘non-fascista’ per noi appare letterale, nel senso di una rottura con l’immaginario razzializzato che ancora oggi continua a pervadere il rapporto tra italiani, l’ ‘Africa’ e l ‘ ‘Uomo Nero’. La critica della ragion ‘nera’ ci interpella a partire proprio dalla nostra specifica varietà di ‘nero’ politico.

Siamo felic* che la nuova gestione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli dopo la scomparsa del compianto avvocato Marotta, abbia accolto e sostenuto questa iniziativa e la ringraziamo nella persona di Fiorina Li Vigni con la preziosa mediazione di Nicola Capone.

Introdurranno la conversazione sul volume di Mbembe Rossella Bonito Oliva (docente di Etica Interculturale e Filosofia Morale), Iain Michael Chambers ( Studi culturali e postcoloniali del Mediterraneo), e Miguel Mellino (Studi Postcoloniali e Relazioni Interetniche e Antropologia Culturale)

Introduzione e ringraziamenti di Giampiero Moretti (Direttore Dipartimento di Scienze Umane e Sociali) e di Tiziana Terranova e Anna Antonia Ferrante (TRU/Centro Studi Postcoloniali e di Genere, curatrici dell’evento)

 

CALENDARIO

 

Giovedì 8 febbraio 2018, ore 16.30

Saluti: Giampiero Moretti (Direttore Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, L’Orientale)
Introduzione al ciclo di seminari: Antonia Anna Ferrante e Tiziana Terranova

Discussione: Critique de la  raison négre  (2013) di Achille Mbembe
con: Rossella Bonito Oliva, Iain Chambers, Miguel Mellino


Giovedì 1 Marzo 2018, ore 16.30

Toward a Global Idea of Race (2007) di Denise Ferreira Da Silva
con: Silvana Carotenuto, Tiziana Terranova, Claudia Bernardi


Giovedì 22 marzo 2018, ore 16.30

Testo Tossico (2008) di Paul (Beatriz) Preciado
con: Antonia Anna Ferrante, Stamatia Portanova, Alessia (Leo) Acquistapace


Giovedì 12 aprile 2018, ore 16.30

Staying with the Trouble (2016) di Donna Haraway
con Lidia Curti, Tiziana Terranova, Marina Vitale, Federica Timeto


Giovedì 3 maggio 2018, ore 16.30

Cruising Utopia: the Then and There of Queer Futurity (2009) di José Esteban Muñoz
con: Antonia Anna Ferrante, Marina De Chiara, Roberto Terracciano, Renato Busarello

 

Location: Istituto Italiano per gli Studi Filosofici,
Palazzo Serra di Cassano, Napoli – Via Monte di Dio, 14