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#iosonogiorgiachallenge: tutorial per una danza memetica di Ricercatore 1 e Ricercatore 2

di Nina Ferrante e Roberto Terracciano

Caro compagno che fai snapshot dai profili di Giorigia Meloni, pensi davvero che sia colpa delle ricchione se Fratelli d’Italia è al 10%? E visto che sai tutto e hai urgenza di spiegarci tutto, potresti anche dirci in che modo il pensiero che siamo una massa informe di capre che ballano al primo ritornello, manipolate dal pensiero dominante, non sia meno omofobo di chi ci accusa di voler corrompere i valori tradizionali del patriarcato e dell’occidente?

Visto che a noi piace ballare, prova a seguire i passi.

Un passo indietro.

La campagna di Pozzi e Pervertiti di Lesbians and Gays Supports the Miners per gli scioperi dei minatori gallesi del 1984 deve il suo nome alla prima pagina del Sun “I pervertiti supportano i pozzi”

Non so se te ne sei accorto, ci chiamiamo frocie, ricchioni, queer. Anche la parola gay nasce da un insulto. Storicamente prendiamo a piene mani dalla merda che provate a lanciarci contro, è la nostra maschera di bellezza. Quello che scagliate con forza, diviene la potenza di quello che vi lanciamo contro. Da sempre. Non era previsto che sopravvivessimo a nessuno di questi attacchi, ma è nella capacità di ribaltare l’insulto che abbiamo trovato gli strumenti per smontare la casa del patriarcato.

Pits and perverts titolò The Sun per ridicolizzare i minatori e banalizzare il loro sostegno da parte delle frocie pervertite. Quello diventò il titolo di un’intera campagna di sostegno ai minatori che ha segnato la storia del nostro movimento e della resistenza al tatcherismo.

Un passo avanti.

Rebus – Individuare le icone gay nel collage.

Cut’n’mix. Tagliare, dare ritmo, doppiare, copiare, incollare, sono operazioni di risignificazione. Funziona così, si prendono delle parole si ritagliano dal loro contesto, si portano altrove, dove non dovrebbero essere, si mettono su bocche che non dovrebbero pronunciarle, su corpi che non dovrebbero danzarle, su gambe che non dovrebbero muoverle. è così che un significante esplode e la deflagrazione cambia non solo il senso di quella parola, ma dell’universo che ha intorno. La parola madre viene pronunciata nelle ballroom su corpi imprevedibili e imprevisti, diventando una parola violenta  che attacca l’essenza del femminile e della famiglia patriarcale.

Un passo a sinistra. 

Il videomeme di Mem&J funziona proprio così, il significante diventa un template vuoto su cui si riscrive l’assurdità del significato. Questo era difficile, te lo facciamo rivedere più piano. Prendi il discorso di Giorgia, donna, madre, cristiana, taglia, aumenta il ritmo a 120 BPM e ripeti n volte. Prendi le parole chiave, carica l’insulto, dallo alla frocia, aumenta la potenza, perverti il significato, pompa nelle casse. Lascialo scorrere nella fibra e aspetta un attimo che lieviti. Il giorno dopo lo troverai rimontato con tutta la cultura popolare prodotta dagli anni ’90 ad oggi, rimpastato con tutti gli oggetti pop di cui non sapevi che fartene fino a quando non ce ne siamo riappropriate.

 

aaaaaaand POSE!

Qui ci spariamo la posa. Nel 1973 (millenovecentoSETTANTATRE) Stuart Hall studiava la cultura popolare identificandola come terreno di conflitto su cui si scontravano i nuovi discorsi egemonici e le corrispettive resistenze. Hall presentò il suo modello di comunicazione aggiungendoci il beat: il messaggio non è determinato da chi lo pronuncia; il basso: la ricezione è luogo di produzione di significato; lo scratch: il messaggio non è trasparente. Il modello encoding/decoding rompe il muro del suono egemonico, ne disvela le falle. La memetica è l’operazione critica del taglio, interrompe il placido fluire del discorso che è già egemonico nella nostra società e, se non ci sono controculture a porre un argine, non è di certo solo colpa delle frocie. Parlare di significati dominanti non significa parlare di processi unidirezionali, ma è un passo a due. Il significato cioè viene messo in ballo: la parte che detiene l’egemonia e, dall’altro lato, quella che resiste, costruiscono la cornice tecnoculturale e politica di interpretazione di quel messaggio stesso, offrendo nuovi strumenti di decodifica. Si spera che questi siano diversi. L’appiattimento avviene quando non ci sono strumenti diversi di decodifica per interpretarli.

…E cinq’, sei, sett’, ott’ Plié! 

Nel taglio e nella ripetizione questa Giorgia fornisce finalmente un’interruzione oltre che un beat a un discorso omofobo e razzista che è già martellante. Nella cultura popolare l’egemonia e la controcultura stanno in conflitto per significare il messaggio e accaparrarselo, in questo senso l’operazione memetica dà opacità all’abiezione di quel discorso non permettendo che s’infili neutralmente nel tessuto della nostra cultura popolare diventando senso comune. Forse ci ha fatto anche bene sentire per la prima volta #donna#madre#italiana#cristiana ripetuti in un unico loop, perché mentre Giorgia rafforza il suo discorso nell’unicità di tutti questi attributi, noi siamo state troppo lente a comprendere come la contestazione debba essere fatta a tutto il pacchetto e non solo ai termini slegati in lotte in lotti.

Saltello (doin’ it for the ‘gram).

I Jackals come Genitori ingenui. Il meme lascia leftbook e diventa un filtro per Instagram.

Non siamo convinte che quello che valeva per la televisione possa accordarsi a ciò che accade nei social media. Però sappiamo dalla teoria della viralità, che nel mare della comunicazione le onde prodotte da #giorgia non procedono indisturbate verso la riva ma incontrano ostacoli che producono increspature in modo non-dialettico e non-deterministico, interferenze di affect che procedono per “invenzione e imitazione, imitazione dell’invenzione e imitazione dell’imitazione”. Allo stesso modo, sul floor politico della cultura pop le sfidanti imitano gli stili e i ritornelli del discorso egemonico e, interferendo l’una con l’altra, lo portano altrove, in un luogo conflittuale. Attraverso la decodifica oppositiva il discorso, quel discorso egemonico, viene finalmente de-naturalizzato e reso visibile, guadagnando così opacità piuttosto che popolarità.

Questo medium fluido e veloce che sta nel palmo della mano e ci vede sempre esposti e immersi in una collettività ci interpella in modo diverso, ma ci interessa recuperare il ritmo di Hall per una critica a un “comportamentalismo spicciolo” che guarda al flusso del messaggio come ininterrotto e al fruitore come ad una scatola vuota. Insomma, ve lo vogliamo dire, la critica a questa collettività danzante ridotta a branco di pecore manipolabili non solo ci sembra una riduzione semplicistica di come funzioni la comunicazione, ma anche vagamente omofoba.

Deathdrop.

Sono anni che contestiamo come nella cultura popolare si sia prodotta un’estetica depoliticizzata dei nostri stili, ma oggi che una nuova estetica queer indirizza al nemico una critica politica, ci viene contestato che rinforziamo la popolarità del nemico in modo acritico, ritenendo che lo strumento o che la contestazione non siano abbastanza affilati? I nostri volti insanguinati, i segni delle botte sui volti delle donne, la diffusione delle immagini di minori salvati con le copertine dorate sono strumenti più acuminati? Cosa è più disturbante? Per chi? Quali sono le emozioni che producono queste immagini? Forse, se avessimo contestato con la stessa ruvidezza chi diceva Io sono Charlie o Io sono Orlando, mentre si producevano discorsi sull’occidente e la nazione oggi non staremmo qui a chiederci se siamo giorgie. Comunque è nella marea transfemminista in cui costruiamo percorsi intersezionali, nelle scuole dove resistiamo ai genitori no gender, contro i summit dei movimenti per la famiglia come Verona, contro i pro-life, dentro e contro i pride che abbiamo i nostri corpi contro il fascismo, il razzismo, il sessismo e l’omofobia, non abbiamo paura di ciò che c’è fuori dalla bolla di Leftbook, perchè è lì che resistiamo tutti i giorni.